Il mito Americano in ottica libertaria
Lo studio della cultura e della storia americana statunitense, soprattutto secondo un ottica libertaria, crea davvero innumerevoli sorprese agli occhi di un osservatore o ricercatore europeo. Sostanziali differenze storiche dividono l’America della frontiera nata libera e l’Europa dell’oscurità e delle monarchie assolute. Cosa aspettarsi d’altronde dal paese che è nato con una rivolta fiscale, padre di colui che è stato l’apologeta della Disobbedienza Civile: Henry David Thoreau e dei referendum per la legalizzazione della marijuana. Gli Stati Uniti vantano di una tradizione libertaria autoctona sconosciuta agli europei, avversa ad ogni ragionamento di matrice marxista, autori come Spooner, Stephen Andrews, lo stesso Thoreau, Benjamin Tucker, William Greene, Josiah Warren, John Henry Mackay, ecc .. La cultura libertaria americana è impregnata di principi radical-liberali dei padri fondatori quali Jefferson ( colui che disse: Il Governo migliore è il governo che governa meno) e questa è presente in tutta la tradizione anarchica e libertaria statunitense. Jefferson, non aveva fiducia in nessuno, né nei ricchi né nei poveri. Egli aveva imparato le lezioni insegnate da Machiavelli, che fondeva la teoria politica al potere. In altre parole Jefferson capì le difficoltà di conservare la libertà, visto che la classe dirigente sempre s’interessa di concentrare più potere nelle sue mani. La teoria jeffersoniana, in effetti, va sempre collegata a un’ispirazione politica individualista. Il padre dell’indipendenza americana propugnava una concezione della libertà che oggi viene detta negativa e che, difendendo lo scambio come luogo di incontro di libere volontà, cercava in primo luogo la minimizzazione della coercizione. Nota è la tesi secondo la quale ogni generazione ha il pieno diritto di darsi regole e autorità del tutto nuove. Poiché gli uomini nascono liberi, gli uomini di domani devono sempre poter disporre della facoltà di ricreare di nuovo quel patto che hanno sottoscritto al termine della loro lotta contro le armate di re Giorgio. L’anarchico americano Spooner nel formulare la sua teoria sulla Costituzione partì da basi jeffersoniane, perché secondo Jefferson ogni costituzione è sempre emendabile. Paul Goodman definisce l’anarchismo una forma di pensiero e azione essenza dell’idea “liberale”: «dopo l’ottocento, alcuni di noi liberali hanno cominciato a chiamarsi anarchici», lo stesso Noam Chomsky ( che ora celebra il despota Chávez come un eroe) riporta nella pubblicazione “Il governo del futuro”: “mi pare dunque, che una volta conosciuto il capitalismo industriale, il liberalismo classico non possa che condurre all’anarchica”. Una concezione “liberale” dunque dell’anarchismo completamente differente da quella europea condizionata dall’ideologia marxista ( con le dovute eccezione: Berneri, Luce Fabbri, ma anche un analisi attenta di Malatesta, Proudhon e Bakunin ). Dal punto di vista storico la tradizione libertaria americana si differenzia da quella europea proprio per cause storiche, perché gli Stati Uniti non hanno mai dovuto combattere una monarchia interna assolutista, di regime, come i paesi Europei. Mentre in Europa anarcoindividualisti attentavano alla vita di sovrani e governanti, in USA sperimentavano comunità libertarie, banche mutualiste, moneta alternativa, casse di mutuo soccorso e fiorivano una marea di giornali e periodici libertari. Lo stesso internazionalismo, mentre in Europa veniva teorizzato e si discuteva tra le varie correnti, in America era un fatto, una quotidianità, essenza stessa del mito americano della frontiera e della libertà di migrazione. Lo spettro politico americano è caratterizzato da una vasta area di “libertarians” di “destra”, di “sinistra”, anarconsindacalisti (es: IWW), minarchici, oggettivisti, volontarsiti, mutualisti e altre categorie. Spesso si è discusso degli “scontri” tra queste aree, ma è vivo anche un confronto e una collaborazione tra quasi tutte queste aree in nome dell’antistatalismo e del confronto culturale, soprattutto dopo la nascita dell’Alliance of left-libertarian che si batte contro il militarismo, lo statalismo, il sessismo e il monopolio economico. Il quadro libertario americano risulta essere complesso, frutto di una tradizione liberale che ha sempre posizionato al centro l’individuo, le libertà individuali, la secessione dallo stato, lo sperimentalismo e possibilismo in ambito economico. L’attuale cultura economica, sociale e politica degli Stati Uniti risulta essere opposta a quella che prefiguravano i padri fondatori e chi diede vita alla Costituzione Americana, ecco perché, da più voci, oggi si grida ad una nuova rivoluzione americana, un americanista convinto allo stato attuale non può essere che il più convinto antiamericano.
Domenico Letizia
Mensile Libertario Cenerentola, Gennaio 2011
Ebraismo e anarchismo
La storia ebraica ha sempre collegato l’ebraismo al marxismo e ne ha trattato le origini e le ripercussioni storiche, ma da alcuni anni si è iniziato a studiare il rapporto tra anarchismo ed ebraismo. Tralasciando lo stupore che ogni volta “colpisce” chi sente accostare religione ed anarchismo, questa ricerca sta sviluppando risultati piacevoli che possiamo dividere in un analisi strettamente filosofica: Collegamenti tra anarchismo e ebraismo e un analisi più storica: Gli ebrei all’interno dei movimenti anarchici. Chi ha analizzato a fondo la religione ebraica e i suoi insegnamenti per ricavarne o ricercarne una chiave libertaria è Furio Biagini che recentemente ha pubblicato: Torà e libertà. Studio delle corrispondenze tra ebraismo ed anarchismo. Ritengo affascinate la particolare lettura che fa Biagini delle scritture interpretate libertariamente, Biagini evidenzia come l’idea di libertà sia centrale nella Bibbia facendo notare la prospettiva di superamento e miglioramento del presente, l’opera concentra la sua attenzione su un analisi dei movimenti radicali messianici sviluppatisi nelle comunità ebraiche soprattutto dell’Europa Orientale. Biagini centra la sua attenzione anche sulla figura di Jacob Frank, leader rabbinico definito e descritto dall’autore come personalità carismatica che predicava l’annullamento di ogni distinzione tra il sacro e il profano, interessante è l’analisi di Biagini che collega il pensiero del “nichilista di rara autenticità” Jacob Frank con il rivoluzionario anarchico Bakunin. Nei movimenti radicali e messianici Biagini fa notare come grande importanza sia data al fare quotidiano, alle azioni semplici, in cui ciascuno ha la possibilità di liberare, ricercare se stesso anche alla luce di una ricerca divina anche nelle piccole cose, per la ricerca della salvezza, salvezza che empiricamente si può ottenere soltanto concedendo libertà di parola, delle proprie idee, e la possibilità di difenderle, contro ogni autoritario dogmatismo. L’esempio pragmatico di questo modo di concepire “la vita e la propria religione” lo si ritrova analizzando la storica americana prendendo in considerazione il forte movimento ebraico e anarchico presente negli Stati Uniti. Il 9 ottobre 1866 venne fondata a New York la prima organizzazione anarchica ebraica denominata: “Pionieri della Libertà”. Questa Organizzazione assunse il compito di diffondere idee tra gli ebrei migranti dell’Europa dell’ Est avendo tra le fila personaggi come Emma Goldman e Berkman. Contemporaneamente nacquero altri gruppi anarchici ebraici a Fhiladelphia e fiorirono una marea di giornali e periodici anarchici in lingua yiddish come il settimanale: “Verità”. Sempre a New York nel 1910-11 fu fondata la Kropotkin Literary Society gestita da J. A. Maryson tra i principali teorici dell’anarchismo americano. L’originalità del pensiero di Maryson consisteva nello svincolare e nel rifiutare sistemi economici pianificati fissi e cristallizzati come il socialismo e il comunismo ritenendo centrale per il pensiero anarchico la sperimentazione e la “creazione” di modelli sociali partendo dal concetto di libertà in una forma totale e perfetta. Maryson si distaccava dall’ortodossia del pensiero ritenendo importante per gli anarchici partecipare alle elezioni quando necessario. Da analisi storiche e filosofiche risulta che sviluppare ricerche tra anarchismo e ebraismo può portare a sorprese come l’opera di Biagini e la ricerca storica dell’America della frontiera quindi relazioni tra anarchismo autoctono americano ed ebraico, d’altronde come non trovare collegamento con colui che viene definito tra i fondatori del pensiero individualista americano Thomas Jefferson che disse: “Il governo migliore è il governo che governa meno” e anche: “La ribellione ai tiranni è obbedienza a Dio”.
Domenico Letizia
Titolo: Ebraismo e anarchismo
Testata: Libertaria
La lezione Americana
Come rilevato da Carlo Lottieri, è impossibile una seria riflessione sul federalismo «se non ci si confronta con quanto è successo in America due secoli fa, quando – dopo la guerra per l’indipendenza dall’Inghilterra – le ex-colonie sono divenute il teatro del più ambizioso esperimento istituzionale in tal senso». In proposito, e per uno sguardo non convenzionale della vicenda america, è importante il volume di Luigi Marco Bassani, “Dalla Rivoluzione alla Guerra civile. Federalismo e Stato moderno in America, 1776-1865”, Rubbettino Ed., 2009, p. 324. Incentrato sulla dialettica “Stato moderno-federalismo”, esso ricostruisce un percorso politico-dottrinario dalla Rivoluzione alla guerra civile volto ad illustrare la difficile ricezione americana delle categorie europee sullo Stato e sul potere. Le lotte condotte dagli Antifederalisti, da T. Jefferson e da J. Calhoun nascevano dall’ opposizione alla “formula europea e moderna” quale soluzione al problema dell’ordine politico, contrapponendo all’idea della creazione di una sala di comando unica quella della natura pattizia e volontaria dell’unione americana.
Tale concezione, seppur non incontrastata, dominò il panorama delle idee politiche della giovane repubblica per molti decenni dopo la Rivoluzione, tanto che in quel periodo il sistema federale prosperò, rivelandosi anche un potente freno alla crescita degli apparati governamentali. Nel periodo in cui l’Europa passava dalla Rivoluzione francese all’età napoleonica e poi a quella dell’irrompere del mito della nazione sulla scena politica, l’America viveva l’età dell’oro della “libertà federale”. La presidenza Lincoln e la guerra civile aprirono invece le porte ad una profonda revisione istituzionale e politico-dottrinaria, che poi produsse la nascita di un vero e proprio “Stato americano”.
di Rossella Galati
rossella.galati@gmail.com
Forse ho deciso: Voterò comunista…
Si è stata una lunga decisone ma alla fine ho deciso, voterò comunista, si alle prossime elezioni voterò comunista. No liste come prc o altro ma liste estremissime come ”Blocco Popolare” o ”PLC”.
Perchè? Vi è una giusta spiegazione, molto libertaria e a tutti i lettori non vi spaventate sarete d’accordo.
Allora: 1) Voglio tornare a votare almeno una volta, per rivedere le cabine dove si vota, ho dimenticato come sono fatte. 2) Voglio vedere le faccie dei votanti nel momento del voto.
Ma la mia illustrazione libertaria è importante:
1) Voterò una lista comunista estremissima perchè sono le uniche che parlano ancora di classe, di lotta di classe e qui ci siamo, ma non hanno capito un cazzo, le classi sono due: Statalisti e Antistatalisti.
2) Voterò una di queste formazioni perchè sono consapevole che non vinceranno mai, quindi non andranno mai al parlamento e proprio per questo sono una forza libertaria, in quanto non faranno nessuna legge e non faranno nessun governo proprio perchè non governeranno rispetteranno la giusta ottica libertaria Jeffersoniana che il governo migliore è il governo che governa meno.
Avete capito? Voterò (forse) comunista perchè non lo sono e perchè non governeranno.
Vi siete spaventati? ahaha Bel scherzetto!
Votate comunista (non troppo!).
A OGNUNO LA SUA BANCA
Mentre in Europa si discuteva su come le élites potevano guidare gli oppressi alla conquista del potere, gli anarchici americani discutevano di antitrust, di voto alle donne, di diritti e poteri dei consumatori, di difesa della proprietà individuale, di copyright. L’odio per uno stato liberticida e il principio della sovranità dell’individuo non sono affatto patrimonio esclusivo del liberalismo. Intervista a Pietro Adamo.
Pietro Adamo si occupa principalmente del protestantesimo radicale e della cultura politica dell’anarchismo, sui quali ha scritto vari saggi.
Sembra che il liberalismo sia attualmente l’unica tradizione politica rimasta sulla scena. Esistono però tradizioni di pensiero che potrebbero dare spunti interessanti, e fra queste l’anarchismo autoctono americano, così poco conosciuto in Italia. Da dove deriva tale tradizione?
La tradizione dell’anarchismo autoctono americano, che copre quasi tutto l’800, è stata una corrente di pensiero originale e articolata che si è fondata principalmente sulla realtà sociale e culturale americana, con rarissimi contatti con i movimenti e i teorici che hanno costituito l’anarchismo in Europa. Degli esponenti più noti di questa tradizione -Lysander Spooner, Benjamin Tucker, Josiah Warren, Stephen Pearl Andrews-, l’unico che conosceva bene le opere di Stirner, Bakunin, Kropotkin era Benjamin Tucker, che le fece anche tradurre o le tradusse egli stesso, ma fino a lui gli anarchici americani maturarono il loro anarchismo in modo assolutamente autoctono rispetto a quella tradizione europea (che parte da William Godwin e arriva fino a Errico Malatesta, e che comprende Stirner, Bakunin, Proudhon, Kropotkin, Reclus, Faure e tanti altri) che oggi definiamo “anarchismo classico”. Questa elaborazione autonoma americana, come dicevo, durò fino a circa il 1890, quando, con l’immigrazione di italiani, tedeschi, ebrei negli Stati Uniti si ebbe l’introduzione di tematiche tipicamente europee che fecero sì che i leader del movimento anarchico americano del primo ’900 –vale a dire Emma Goldman, Alexander Berkman, Johann Most, non a caso tutti immigrati– avessero come punto di riferimento non la tradizione libertaria americana, ma quella europea, essenzialmente Kropotkin e l’anarco-comunismo.
L’atteggiamento di questi anarchici americani nei confronti della proprietà era, comunque, quello di una difesa strenua e si proponevano di liberalizzare il mercato togliendo di mezzo tutti i monopoli, le corporazioni, le gilde, i trattamenti di favore, la concessione di patenti, perché questi strumenti, a loro giudizio, opprimevano il popolo. Non a caso saranno fra i primi a parlare della necessità di lottare contro le concentrazioni industriali che finiscono per diventare monopoli, parlavano cioè di antitrust. Per loro il prezzo dei prodotti era alto perché su queste cose veniva caricato il peso dei monopolisti, di gente che non lavorava. Dal loro punto di vista l’adozione di una politica liberale era intesa a difendere la gente che lavorava: i bottegai, gli artigiani, gli operai, i lavoratori a giornata. Io penso che ci siano addirittura dei modi per leggere persino Adam Smith in questo modo, ed infatti un anarchico americano contemporaneo, Bob Black, ha scritto delle paginette divertenti su Adam Smith e sul problema del lavoro che fanno intendere come per molti l’adozione del sistema del libero mercato e del libero scambio, cioè del sistema capitalista (anche se “capitalista” è il modo in cui noi chiamiamo la degenerazione del sistema della proprietà privata), può essere vista in chiave protettiva per i ceti più poveri, piuttosto che in chiave berlusconiana…
Il gradualismo degli anarchici americani nasce dal riconoscimento che non vi è altra possibilità di rivoluzione radicale che non sia rivoluzione delle coscienze. La rivoluzione è la maturazione dell’individuo, non tanto un rivolgimento politico, il quale, quando avviene, non può essere preso in sé stesso, ma solo in relazione alla rivoluzione nelle coscienze. Quando gli anarchici americani si confrontano direttamente con i meccanismi del politico (governi, parlamenti, polizie, eccetera) finiscono quasi sempre su posizioni anarchiche classiche. Quindi i meccanismi del politico vengono visti in senso estraniante, come un processo di continua sottrazione di diritti e potenzialità al cittadino, in sostanza come uno degli elementi fondanti del sistema di dominio di una parte minoritaria della società sulla maggioranza. Questo, tuttavia, non comporta, come invece accade all’anarchismo europeo, l’apertura alla necessità di una dimensione “altra”, utopica. A questo proposito, comunque, direi che le elaborazioni sono decisamente molto sfumate, perché l’unica possibilità che a molti di loro rimane, data la loro formazione ed i presupposti che essa comporta, è ipotizzare un ritorno allo stato della perfetta naturalità, ma è una mentalità che non viene direttamente accettata perché comporterebbe il contrasto fra natura e società, che a sua volta non viene accettato. Spooner, per esempio, contrappone ad ogni istituzione del politico il richiamo ad una società naturale fondata sul libero contratto e sulla libera iniziativa, ma si guarda bene dallo spiegare in concreto come questa si dia e come possa funzionare. Non lo fece Spooner, non lo fece Andrews, non lo fece Tucker, ma lo ha fatto Robert Nozick, un filosofo contemporaneo, in Anarchia, stato, utopia e non è un caso che in nota, dica “Per il retroterra di queste riflessioni si veda Lysander Spooner e Benjamin Tucker…”. L’operazione che gli anarchici americani classici non hanno fatto, cioè come liberarsi del politico senza ricadere in una naturalità impossibile, che altro non sarebbe che forma mascherata di politico, è stata tentata da Nozick e secondo me neanche lui c’è riuscito, semplicemente perché non è possibile. Sempre a questo proposito si possono trovare degli spunti in un paragone fra Spooner e Tucker: mentre in Spooner la contrapposizione fra società “politica” e società “naturale” finisce per essere plateale, nel caso di Tucker la formulazione è molto più produttiva e interessante perché da un lato c’è lo svelamento dei meccanismi autoritari del politico, mentre dall’altro c’è la consapevolezza che è in quell’ambito che occorre andare ad operare, che è una scelta dettata dalla necessità.
RIVOLUZIONE O ANTITRUST?
Dal mensile: Una Città
Thomas Jefferson, il mutualista
Thomas Jefferson, il mutualista
E se non l’era, era molto vicino.
Lettera ad Isaac McPherson,
Thomas Jefferson,Agosto 13, 1813.
Traduzione da Alberto García (2006)
Alcuni hanno argomentato, specialmente in Inghilterra che gli inventori hanno un diritto naturale ed esclusivo sulle loro invenzioni, e non soltanto per la propria vita, bensì ereditabile anche per gli eredi. Ma mentono ed è una questione molto discutibile affermare che l’origine di qualunque tipo di proprietà sulla scoperta ,derivata per caso dalla natura, sia un diritto naturale e perfino ereditabile agli inventori. Quelli che hanno considerato seriamente la questione sono in accordo ad affermare che nessun individuo ha, come diritto naturale, una sua proprietà, per esempio, di un acro di terra. Per legge universale, in realtà, appartiene ugualmente a tutti gli uomini ed in comune, è per il momento è proprietà di chi l’occupa, ma quando rinuncia alla sua occupazione, la proprietà va via con il diritto. La proprietà stabile è il regalo della legge sociale ed è raggiunta tardivamente nel progresso della società. Sarebbe curioso e strano allora, se un’idea, la fuggitiva fermentazione di un cervello di un individuo, potesse, per diritto naturale, essere reclamato come proprietà esclusiva e stabile. Se la natura ha fatto una cosa per essere posseduta in forma esclusiva, è l’azione della capacità di pensiero chiamata idea che un individuo possiede per sé ed è sua per finalità individuali, ma nel momento in cui è divulgata, costringe a sé stessa ad essere possesso di tutto il globo. Queste idee dovrebbero essere sparse liberamente da una parte all’altra del globo, per il miglioramento della condizione dell’uomo e come l’aria che respiriamo, nella quale ci muoviamo, e contiene la nostra esistenza fisica, incapace di confini o appropriazione esclusiva.
Allora le invenzioni non possono, di natura, essere soggette alla proprietà. La società può dare un diritto esclusivo ai benefici che sorgano da queste, come un stimolo all’uomo per perseguire idee che possono presentare utilità, ma questo si potrebbe fare, in accordo col desiderio e con la convenienza della società, senza domanda o reclamo di nessuno. Quindi, è un fatto, per quello che sono informato, che l’Inghilterra fu l’unico paese della terra che qualche volta, mediante una legge generale, diede diritto legale all’uso esclusivo di un’idea. Anche in altre nazioni è fatto a volte, in un caso importante, e per un atto speciale e personale, ma generalmente parlando, queste nazioni hanno pensato che questi monopoli producono più danni che vantaggi alla società; e può osservarsi che chi respinge i monopoli d’ invenzione, sono nazioni tanto prospere come l’ Inghilterra.
(chiedo scusa se alcuni tratti sono tradotti un pò male ma essendo una traduzione fatta da me non sono sicuro della esattezza, comunque per info:http://www.mutualismo.org/(in spagnolo) )
Scegli il tuo governo
di Michael S. Rozeff
La scelta del proprio governo è una opzione o decisione che scaturisce direttamente dall’idea che Thomas Jefferson aveva dei diritti e che si trova nella Dichiarazione di Indipendenza; e che sulla scia della logica di Jefferson arriviamo al concetto di panarchia. Ragionare in astratto sui diritti non ha mai convinto nessuno. Perciò in questo articolo non farò uso di tale concetto.
Sorge la domanda: Che cosa è un Governo? Un Governo deve essere definito assegnandogli una specifica caratteristica che lo distingue in maniera univoca da altre realtà che non sono il governo. Quella caratteristica ha a che fare con principi e regole che indirizzano l’azione. Ma di quali regole e di quali azioni si parla? I Governi si differenziano notevolmente nelle finalità delle loro azioni, nei loro metodi di governo e nelle relazioni con i governati.
Esistono parecchi tipi di governo a molti livelli. Per semplificare la discussione, immaginiamo governi nazionali in relazione con Stati. Supponiamo per un momento che il motivo per cui questi governi cambiano è perché le nazioni che essi governano hanno realtà differenti. I Russi hanno una loro forma di governo e i Cinesi un’altra. Questo è, almeno in parte, questione di inclinazioni personali. Anche se questi governi hanno avuto la loro origine in un processo di conquista o altro, essi hanno trovato stabilità, almeno in secoli a noi vicini, governando su un insieme di popolazioni con una qualche sorta di identità o con aspetti essenziali condivisi per quanto riguarda credenze, valori e spesso religione e linguaggio. Nella misura in cui un intero popolo aveva voce riguardo alla forma di governo, quel governo poteva riflettere quella voce. C’è un specie di scelta collettiva di base che è stata effettuata o condivisa in qualche modo oppure generata attraverso la forza e l’abitudine, almeno in una certa qual misura. Non intendo qui affermare che i governi sono nati da una scelta collettiva. Sto solo dicendo che la scelta collettiva gioca una certa parte, ed è per questo che possiamo spiegare la varietà di governi.
In un certo senso, l’esistenza di una varietà di stati e di governi mostra che riconosciamo una pluralità di differenti preferenze nella scelta del governo tra vasti aggregati di persone. Ma se una parte della scelta di un governo è collettiva, allora dovremmo anche riconoscere che la scelta collettiva sorvola sulla grande varietà esistente tra le persone che si aggregano e che prevale sulle preferenze e credenze di ciascuno. Se il governo è un governo di una popolazione di individui, esso sopprime l’espressione delle preferenze per il governo che esistono all’interno di una vasta gamma di sotto-popolazioni e sotto gruppi. Non si può logicamente affermare che un governo nazionale si basa sul consenso dei governati senza riconoscere al tempo stesso che non si poggia sul consenso di sotto-gruppi all’interno dei governati e cioè di coloro che esprimono la preferenza di non essere governati da quel governo nazionale.
Nonostante le differenze tra stato e stato, non vi sono in realtà molti tipi diversi di governo tra cui scegliere. Certamente c’è una grande differenza tra l’essere governati da Mugabe o da Bush. E i singoli governi non hanno lo stesso insieme di programmi; rimane comunque il fatto che se uno cerca di sottrarsi da un paese con un governo molto grande per trovare un altro con un governo molto piccolo, è quasi impossibile farlo senza dover abbandonare la terra in cui si è nati. Scegliere un governo che è davvero diverso da quello sotto cui si vive attualmente risulta essere qualcosa di molto costoso. E ancora più costoso è informare gli altri che non si appartiene ad alcuno Stato o che si rinuncia ad appartenere allo Stato in cui si è nati. I Governi usano la forza per mantenere le persone sotto il loro potere. La forza include anche, nei regimi democratici, l’essere soggetti al potere della maggioranza. I costi da sopportare per sottrarsi al potere della forza sono elevati. Ognuno di noi si è rassegnato a ciò solo per essere lasciato tranquillo. Il risultato è che i governi tendono ad essere più omogenei in apparenza di quanto potrebbero essere e che le nostre scelte tra i governi esistenti non sono così varie di come potrebbero essere.
Il fatto è che se ognuno di noi potesse scegliere di sua propria volontà il governo che vuole senza doversi trasferire o senza dover andare molto lontano o senza emigrare in una terra straniera, la gamma di scelte di governo potrebbe aumentare e probabilmente aumenterebbe in misura sostanziale. Per dirlo in altro modo, gli otto milioni di persone che vivono nella città di New York, se fosse data loro la scelta del governo in quella regione, esprimerebbero probabilmente una gamma di preferenze molto più ampia che non quella di un unico governo come è il caso attualmente. Essi hanno molte idee differenti su quale dovrebbe essere la finalità del governo, quali dovrebbero essere le regole, come dovrebbero essere fatte rispettare le regole, e quali relazioni dovrebbero esistere tra governo e governati. In una nazione di 300 milioni di persone, è ovvio che esiste un numero enormemente più grande di preferenze personali riguardo al governo di quelle che sono espresse dall’esistenza di un solo governo nazionale per tutti. Le preferenze personali per differenti tipi di governo non trovano espressione nelle attuali forme di organizzazione politica. Abbiamo di gran lunga più scelta di succhi di frutta e bibite in un supermercato di quante ne abbiamo riguardo alle forme di governo, eppure la scelta del governo ha un impatto di gran lunga superiore sulle nostre vite del fatto che possiamo scegliere tra succo di uva o succo di mirtillo.
Se tu pensi che sia giusto godere della libera scelta tra confezioni di cereali, tra ragazze che diventeranno tua moglie, tra mezzi di trasporto, tra impieghi lavorativi, o tra fedi religiose, per la semplice ragione che questo è quello che tu vuoi, allo stesso modo dovresti avere la scelta del governo, se questo è ciò che tu vuoi. In tutti questi casi, faccio chiaramente riferimento al fare scelte pacifiche che non opprimono altri. Qui non si tratta necessariamente dei tuoi diritti. Si fa semplicemente riferimento alla tua volontà, cioè all’espressione di chi tu sei. L’essere umano si caratterizza per l’agire, e l’azione comporta la scelta; e scegliere è scegliere liberamente (sempre nel senso di farlo in maniera pacifica). Non voglio dire a questo punto che scegliere ed esprimere la propria personalità umana sia una cosa buona e giusta (sebbene io lo creda e lo affermi nella mia conclusione). Voglio solo dire che se fai una scelta tra diversi prodotti e servizi, e quasi tutti noi la facciamo, allora logicamente si può pensare di scegliere il governo che si vuole, considerando che anche il governo sostiene di fornire vari beni e servizi. Frasi come “il consenso dei governati” e “nessuna tassazione senza elezione dei rappresentanti” esprimono questa scelta. Si dice che votare è una espressione di tale scelta e, anche se non lo è in realtà, l’idea di scegliere il proprio governo è ancora presente nelle ragioni di base per l’esercizio del voto.
In generale, la tua scelta tra confezioni di cereali è differente da quella che fa il tuo vicino ma, dal momento che ognuno sceglie ciò che vuole, ognuno ottiene ciò che vuole senza danneggiare l’altro. Scegliere il governo può essere equiparato a tali comportamenti. Ognuno può migliorare la propria situazione facendo liberamente la propria scelta. Attualmente non è così, ed è difficile immaginare una realtà simile in quanto tu e lui siete entrambi posti di fronte ad un solo tipo di cereali e dovete mangiare quel tipo, che lo vogliate o no. Al massimo tu puoi votare per una persona, ma l’effetto del tuo voto su quell’unica marca di cereali è zero. Questo è tutto ciò che tu e lui avete avuto finora. Tu non scegli un governo o un metodo di governare o regole per governare; tu esprimi il tuo voto, privo di effetti reali, riguardo ad un numero ristretto di persone che possono o non possono governare. Una realtà alternativa e cioè che uno possa scegliere la propria forma di governo, sembra quasi irreale allo stato attuale, sebbene questa sia una cosa del tutto naturale come il fatto che tu e il tuo vicino scelgano di far parte di chiese diverse, o che due membri della stessa chiesa frequentino università differenti. L’America era abitata da centinaia di tribù Indiane con forme diverse di governo, ed anche al giorno d’oggi esistono centinaia di nazioni indiane all’interno dei confini degli Stati Uniti. Se essi possono avere i loro governi, non si vede perché altri gruppi non possano avere i loro.
Le differenze di opinione sul governo tra te e il tuo vicino possono essere sono di gran lunga maggiori che le differenze tra tipi di cereali e questo perché si tratta di problemi più seri a cui ognuno attribuisce un grande valore. Il tuo vicino vorrebbe fare guerra all’Iran, mentre tu vuoi costruire una navicella spaziale per andare su Saturno. Lui è un ardente sostenitore dell’Assistenza Sociale mentre tu vuoi un governo che si occupi di poche cose. Tu potresti volere un re alla testa del governo, mentre lui non vorrebbe alcun governo. Quanto più grandi sono queste differenze, tanto più solida diventa la tesi che ognuno abbia il governo di sua scelta, perché ognuno si troverà in una posizione migliore ottenendo quello che desidera e ognuno sarà isolato dagli effetti negativi di una politica che non condivide.
Ma io non voglio né ingigantire le differenze tra le persone né farle apparire così grandi da rendere la vita impossibile in assenza di un uomo forte che abbia potere su tutti. Il modello esistente di governi statali genera e amplifica le differenze e gioca su di esse. I capi politici degli stati creano situazioni di obbedienza fedele ricercando e sfruttando differenze all’interno dello stato e tra stati. Essi trovano e anche producono e incoraggiano le rivalità tra gruppi e costruiscono le loro fortune sfruttando tali rivalità. Le loro “soluzioni” riguardo le differenze esistenti comportano l’uso della forza, della frode, e allettamenti (economici e psicologici) che li rendono quanto mai indispensabili. Essi sono i sacerdoti esclusivi della loro religione statale che fa apparire loro e lo stato come strumenti insostituibili di cooperazione sociale e di assistenza economica. Essi vogliono farci credere che noi siamo incapaci di cooperare senza di loro e di lavorare tutti assieme in imprese produttive. Il loro sistema di comando si basa sull’inculcare e far crescere in tutti noi la credenza che senza di loro e senza lo stato noi ci sbraneremmo a vicenda. Essi ci presentano due scelte alternative che sono limitative in maniera ingiustificata (e sono quindi false): o lo stato o il disordine. Essi ci addestrano nell’essere isolati e dipendenti da loro per il nostro benessere. Essi giocano sulle nostre insicurezze promettendo generosi pagamenti assistenziali a un prezzo basso e tutto sommato accettabile; ma quelle sono promesse che essi non possono mantenere. Si tratta infatti di schemi alla Ponzi attraverso i quali essi ci restituiscono le nostre contribuzioni dopo aver sottratto quote notevoli di denaro per sé stessi e per le loro cricche. Questi sono schemi attraverso i quali i ricavi prodotti da un settore della popolazione sono trasferiti ad un altro settore, senza che vi sia alcuna crescita del prodotto da parte dello Stato essendo tutti gli incrementi un risultato del nostro lavoro e sono semplicemente fatti apparire come ricchezze accumulate dallo Stato.
Giudicando la realtà dall’esame della frequenza e gravità delle guerre civili, è del tutto evidente che i disaccordi riguardo al governo sono notevoli. I potenti dello stato si pongono nei confronti delle secessioni e dei movimenti di indipendenza in una posizione di sgomento e di forza. Essi mettono in moto l’opinione pubblica a sostegno dello Stato. Una litania tipica delle giustificazioni pseudo-razionali può essere rinvenuta, con Putin che difende gli attacchi dei Russi alla Cecenia. La principale giustificazione è la paura del caos e l’idea contrapposta che lo Stato apporta unità, forza, ordine. Coloro che scrissero la Costituzione Americana usarono argomenti simili, e questo avvenne immediatamente dopo che una confederazione di stati privi di un potere centrale aveva sconfitto una potenza europea tra le più grandi! Che cosa ha la Russia, che già occupa un settimo della superficie della terra, da temere dalla Cecenia? La paura di Putin e di tutti i capi di stato è che una concessione ad una regione separatista o a un gruppo porterà a dover fare ulteriori concessioni ad altri gruppi. L’esigenza implicita e non espressa apertamente è che lo Stato Russo deve essere mantenuto nella sua interezza. La Russia è un valore in sé stesso, almeno questo è ciò che essi credono. La glorificazione da parte di Lincoln dell’Unione è in ciò simile. Se messi alle strette, gli statisti come Putin non sostengono pacificamente che tutti i Russi avrebbero qualcosa da guadagnare da una Russi unita, e ancor meno presentano questa cosa ai Russi come una scelta volontaria. Invece, fanno ricorso alla forza. I Ceceni (e altri gruppi separatisti in altri paesi) chiaramente non vedono che vantaggio ci sia nel rimanere sotto la sovranità russa. Un movimento di indipendenza lo dice chiaramente. Esso esprime i suoi propri valori. Coloro che lo vorrebbero sopprimere non esprimono alcun valore. Questo è del tutto chiaro. La forza e il successo del pensiero statista è evidentemente notevole se una cosa che è del tutto ovvia ha bisogno di essere espressa apertamente e rimarcata. Il movimento di indipendenza Americano che ruppe con la Gran Bretagna espresse i propri valori, e tra quelli non vi era il valore di essere sottomessi al Re Giorgio. Nessuna argomentazione del Re avrebbe retto contro le preferenze espresse dai ribelli che non avevano dato il loro consenso al suo potere. La Forza non rappresenta una argomentazione. Ad essa si ricorre quando una presunta giustificazione fallisce.
La propaganda degli stati è così forte che fa apparire del tutto stravagante sostenere la possibilità di una governabilità non-territoriale, come pure accordi di gestione che coprano un’area più vasta di possibilità e che sono ancora da scoprire e attuare. Questa è l’idea della panarchia, e cioè, come indicato da John Zube in uno dei suoi scritti: “La realizzazione di molte comunità differenti e autonome quante sono richieste dagli individui secondo le loro libere scelte, comunità che coesistano tutte senza alcun monopolio territoriale, l’una accanto all’altra e mescolate tra loro, sullo stesso territorio o disseminate sulla terra, e al tempo stesso ognuna distinta per leggi, amministrazioni e giurisdizioni, come sono o dovrebbero esserlo differenti chiese.” Se continuiamo a credere nell’idea fittizia inculcataci dallo Stato che non possiamo vivere l’uno accanto all’altro con le nostre differenze, allora risulta difficile persino immaginare la panarchia. Lo Stato è riuscito in tal caso a tagliare alla radice la nostre facoltà di pensiero. Ha rimpiazzato il pensiero indipendente, la scelta volontaria e libera, l’espressione pacifica dei valori personali, e l’associarsi pacificamente con altri, con la violenza, l’inganno, la paura e la falsità. Lo Stato non può logicamente sostenere che è estremamente importante per il benessere di tutti coloro che vivono all’interno delle sue frontiere quando alcune persone all’interno di quelle frontiere dichiarano con estrema chiarezza che la loro situazione è peggiore quando sono sotto il potere dello Stato e che vorrebbero dissociarsi da esso. La forza dello Stato non consiste né nella persuasione né nel ragionamento e neanche nell’espressione di quello che una persona dissenziente apprezza. La forza dello Stato consiste nella soppressione di tale dissenso.
La ragione fondamentale perché il governo dovrebbe essere scelto volontariamente è che, in tal modo, ognuno di noi può ottenere in misura maggiore quello che vuole e in misura più ridotta quello che non vuole. Il fatto che noi personalmente abbiamo idee differenti su cosa è e cosa dovrebbe essere un governo costituisce un motivo in più per essere d’accordo nell’avere governi rivali nello e sullo stesso territorio (con una eccezione notevole a cui si farà cenno tra breve). Il fatto che noi, in una certa qual misura, ci siamo amalgamati con tipi diversi di governo come negli stati-nazione (anche se l’equilibrio è mantenuto attraverso la forza e l’inganno) è una dimostrazione che la cooperazione tra governi rivali è possibile. La terra è un grande territorio che contiene al suo interno molti governi. Non vi è motivo per il quale il territorio degli Stati Uniti o qualsiasi governo non possa contenere molte giurisdizioni indipendenti, fino ad includere la più piccola giurisdizione, che è quella del singolo individuo. Il Governo dovrebbe essere una questione di scelta personale.
La tesi che conviene a ognuno di noi essere d’accordo nell’avere governi in concorrenza tra loro ha una eccezione importante, e cioè che la convenienza viene a cadere per coloro che ricavano un guadagno dal loro potere sopra gli altri. Alcuni di noi vogliono un governo che comandi sugli altri anche quando loro non accetterebbero mai di essere comandati. Alcuni di noi non solo hanno la pretesa di dire agli altri come vivere e comportarsi, essi vogliono anche costringerli a vivere in un certo modo. Questo tipo di persona, sulla base dell’analisi di James Ostrowski, possiamo definirla come un fascista. Questo è quanto dice Ostrowski:
“Come potremmo chiamare questa vasta coalizione basata sul potere dello stato? È chiaro che esistono due prospettive politiche di base: quella libertaria e quella fascista, usando questo secondo termine nel senso colloquiale che si attribuisce a chi voglia imporre la sua volontà sugli altri. Anche una definizione più accademica non si discosta molto dal mio modo di usare il termine. Fascismo consiste nella ‘glorificazione dello stato e nella subordinazione totale ad esso dell’individuo. Lo stato è definito come un tutto organico nel quale gli individui devono essere assorbiti per il loro bene e per quello dello stato.’ (Columbia Encyclopedia, 6th ed.)”
La Panarchia si oppone decisamente all’idea fascista, che consiste nell’imposizione di un governo (o stato) sulla persona che non vuole quel governo. L’idea libertaria illustrata da Ostrowski è altrettanto decisamente opposta all’idea fascista. Se i fascisti non cedono il loro potere monopolistico pacificamente e se non si scoprono modi per sottrarsi al loro giogo, allora non vi è alternativa per i panarchici e i libertari se non fare ricorso agli strumenti di difesa come fecero i rivoluzionari Americani.
Un ideale veramente Americano è quello di Jefferson, che consiste nella scelta volontaria del proprio governo. Questa idea era radicale nel diciottesimo secolo ed è radicale ancora oggi. È l’idea della libertà estesa alla scelta del governo. L’idea della libertà è l’esatto opposto dell’idea di fascismo. L’idea della libertà non è stata ancora realizzata. Ce ne siamo allontanati parecchio, ma davvero, in direzione del fascismo. Forme fasciste di ragionamento sono prevalenti in America, a tal punto che la rinascita della libertà sembra a volte solo un sogno. Eppure la libertà riemergerà perché l’idea fascista è alla base una idea malvagia nella misura in cui, tra le altre cose, cancella l’umanità e gli esseri umani. Il fascismo domina attraverso la forza e l’inganno, ma non potrà resistere una volta smascherata attraverso l’emergere della verità o di aspirazioni a vivere una vita intensa che sono insite in ciascun essere umano. Queste affermazioni sono dettate dalle mie convinzioni in termini di valori. Parlando in termini neutrali, la stessa idea può essere espressa così. Esistono parecchie grandi opportunità irrealizzate quando le persone sono schiacciate e non possono mettere in atto le loro scelte di valore. Le persone possono conseguire risultati ben più elevati attraverso una ri-organizzazione che cancelli l’oppressione. Il sistema attuale che sopprime questi valori e i possibili risultati positivi può continuare a esistere per via dei costi elevati di un cambiamento. Comunque, presto o tardi, le persone oneste di questo mondo troveranno il modo di ridurre quei costi per poter conseguire i risultati positivi. Essi porranno fine o almeno ridurranno il dominio dei fascisti.
Molti di noi sono tenuti prigionieri dallo Stato sotto un governo che non è di nostra preferenza. Faccio riferimento non solo ai libertari o anarchici o mini-anarchici o verdi o socialisti o democratici o repubblicani o a persone di qualsiasi appartenenza politica, definita o vaga, ma a tutti coloro tra di noi che non sono fascisti. Invece di combatterci l’un l’altro, dovremmo riconoscere che siamo tutti prigionieri rinchiusi nella stessa prigione. Il nostro nemico comune è il fascista che si rifiuta di lasciarci la libertà di scegliere il governo che vogliamo. Il nostro nemico comune è il fascista che insiste nel guidarci come un branco nelle stesse guerre e negli stessi programmi sotto le stesse regole imposte da un governo monopolistico. E quando noi cadiamo nella tentazione di costringere l’altra persona ad avere il tipo di governo che noi vogliamo, allora noi diventiamo fascisti.
Noi dobbiamo continuare a reclamare la nostra libertà e liberarci dal pensiero fascista, qualunque siano le nostre opinioni politiche. Dobbiamo capire che questo non vuol dire imprigionare altri all’interno delle mura delle nostre convinzioni settarie attraverso i vincoli di un governo nazionale monopolistico o di qualsiasi altro monopolio governativo. Cerchiamo di capire che noi non possiamo avere la nostra libertà senza che l’altra persona abbia la sua. Riconosciamo che il nostro nemico è davvero l’idea fascista di “imporre la propria volontà sugli altri.” Non appena noi cerchiamo di governare sugli altri e di creare un sistema nel quale le nostre opinioni prevalgono e impediscono gli altri di effettuare le loro scelte, noi contribuiamo a generare la nostra stessa rovina. Così facendo noi ci rinchiudiamo nelle nostre prigioni e ci alleiamo con i fascisti. E ostacoliamo in maniera intollerante la scelta volontaria del governo.
Originale: (http://www.panarchy.org/rozeff/scelta.2009.html)