Ebraismo e anarchismo
La storia ebraica ha sempre collegato l’ebraismo al marxismo e ne ha trattato le origini e le ripercussioni storiche, ma da alcuni anni si è iniziato a studiare il rapporto tra anarchismo ed ebraismo. Tralasciando lo stupore che ogni volta “colpisce” chi sente accostare religione ed anarchismo, questa ricerca sta sviluppando risultati piacevoli che possiamo dividere in un analisi strettamente filosofica: Collegamenti tra anarchismo e ebraismo e un analisi più storica: Gli ebrei all’interno dei movimenti anarchici. Chi ha analizzato a fondo la religione ebraica e i suoi insegnamenti per ricavarne o ricercarne una chiave libertaria è Furio Biagini che recentemente ha pubblicato: Torà e libertà. Studio delle corrispondenze tra ebraismo ed anarchismo. Ritengo affascinate la particolare lettura che fa Biagini delle scritture interpretate libertariamente, Biagini evidenzia come l’idea di libertà sia centrale nella Bibbia facendo notare la prospettiva di superamento e miglioramento del presente, l’opera concentra la sua attenzione su un analisi dei movimenti radicali messianici sviluppatisi nelle comunità ebraiche soprattutto dell’Europa Orientale. Biagini centra la sua attenzione anche sulla figura di Jacob Frank, leader rabbinico definito e descritto dall’autore come personalità carismatica che predicava l’annullamento di ogni distinzione tra il sacro e il profano, interessante è l’analisi di Biagini che collega il pensiero del “nichilista di rara autenticità” Jacob Frank con il rivoluzionario anarchico Bakunin. Nei movimenti radicali e messianici Biagini fa notare come grande importanza sia data al fare quotidiano, alle azioni semplici, in cui ciascuno ha la possibilità di liberare, ricercare se stesso anche alla luce di una ricerca divina anche nelle piccole cose, per la ricerca della salvezza, salvezza che empiricamente si può ottenere soltanto concedendo libertà di parola, delle proprie idee, e la possibilità di difenderle, contro ogni autoritario dogmatismo. L’esempio pragmatico di questo modo di concepire “la vita e la propria religione” lo si ritrova analizzando la storica americana prendendo in considerazione il forte movimento ebraico e anarchico presente negli Stati Uniti. Il 9 ottobre 1866 venne fondata a New York la prima organizzazione anarchica ebraica denominata: “Pionieri della Libertà”. Questa Organizzazione assunse il compito di diffondere idee tra gli ebrei migranti dell’Europa dell’ Est avendo tra le fila personaggi come Emma Goldman e Berkman. Contemporaneamente nacquero altri gruppi anarchici ebraici a Fhiladelphia e fiorirono una marea di giornali e periodici anarchici in lingua yiddish come il settimanale: “Verità”. Sempre a New York nel 1910-11 fu fondata la Kropotkin Literary Society gestita da J. A. Maryson tra i principali teorici dell’anarchismo americano. L’originalità del pensiero di Maryson consisteva nello svincolare e nel rifiutare sistemi economici pianificati fissi e cristallizzati come il socialismo e il comunismo ritenendo centrale per il pensiero anarchico la sperimentazione e la “creazione” di modelli sociali partendo dal concetto di libertà in una forma totale e perfetta. Maryson si distaccava dall’ortodossia del pensiero ritenendo importante per gli anarchici partecipare alle elezioni quando necessario. Da analisi storiche e filosofiche risulta che sviluppare ricerche tra anarchismo e ebraismo può portare a sorprese come l’opera di Biagini e la ricerca storica dell’America della frontiera quindi relazioni tra anarchismo autoctono americano ed ebraico, d’altronde come non trovare collegamento con colui che viene definito tra i fondatori del pensiero individualista americano Thomas Jefferson che disse: “Il governo migliore è il governo che governa meno” e anche: “La ribellione ai tiranni è obbedienza a Dio”.
Domenico Letizia
Titolo: Ebraismo e anarchismo
Testata: Libertaria
L’anarchismo fra politica ed antipolitica
Stefano D’Errico
Il dominio del socialismo statalista ed autoritario che haimmancabilmente prodotto il capitalismo di stato in tutti i paesi in cui s’è imposto o la socialdemocrazia (per lo più integrata nelsistema di sfruttamento, compartecipe della spoliazione del TerzoMondo), non poteva che compromettere la sinistra su basi planetarie.Il giacobinismo moderno, succube di ciò che Camillo Berneri denunciò già negli anni Trenta come mito “operaiolatra”, ha da una partecorroborato la crescita selvaggia dell’industrialesimo, la crisiambientale ed il saccheggio indiscriminato delle risorse. Dall’altraha quasi imposto un marchio xenofobo contro i contadini (considerati“retrivi” e “piccolo borghesi”) e negato (come il colonialismo) leculture astatali libere dalla soccombenza alla produzione, considerate“involute” dallo stesso Marx. L’etnocentrismo occidentale ha cosìavuto mano libera nell’imporre su basi globali il proprio modellotecnologico, culturale e religioso come “marchio di fabbrica” ed unsistema mercantile assolutamente apocalittico e fine a se stesso.Il primo revisionismo (quello autoritario) ha “sdoganato” nelmovimento dei lavoratori la cosiddetta “statualità proletaria”, ovverol’utilizzabilità del principale veicolo del sistema di sfruttamento(poiché non sono le classi a produrre lo stato, ma è lo stato che nedetermina la nascita). In ambito politico, tutto ciò ha accreditatol’utilizzazione sconsiderata dell’autonomia del partito (nuova classedirigente) in funzione totalitaria. Con buona pace di Lenin, ilcomunismo autoritario ha imposto a milioni di persone un “pensierounico” ante litteram basato sull’assurdo di un materialismo cosiddettoscientifico considerato (su basi idealistiche e deterministe) perfettoed “invincibile”, negando al contempo il metodo sperimentale ed empiriocriticista (libertario e pluralista per definizione). Tali sonole radici della ragion di stato giacobina (del partito fatto stato) e dell’assurdo di una (presunta) eguaglianza conquistabile in assenza di libertà con la dittatura del (sul) proletariato. E vi sono elementi di prossimità anche con le inevitabili accezioni del resto della“modernità” involuta, rappresentate dai totalitarismi di destra (ugualmente statalizzatori) e dalle democrazie apparenti, blindate e consociative. Tali i punti di contatto con il pensiero unico attuale(neo-darwinismo sociale e revanche del capitalismo), impostosi dopo che il crollo del socialismo autoritario ha – nell’immaginario collettivo di una sconfitta “cosmica” – trascinato con sé anche l’incolpevole socialismo libertario. A questi si può imputare infatti solo un vizio sovrastrutturale ed indotto rispetto alla propria ideologia: quello di aver buttato il bambino (la politica intesa comeautogoverno della polis) insieme all’acqua sporca (il politicismo),impedendosi infine di esprimere in tempi e modi dovuti quella critica radicale e di classe al capitalismo di stato che è parte imprescindibile della sua base fondativa dai tempi di Proudhon e Bakunin.
Oggi occorre partecipare ai movimenti radicali, progressivi e d’emancipazione riconoscendone finalmente la necessaria e strutturale pluralità. Se vogliamo riprendere il cammino interrotto non possiamo abbandonarci alle subdole trappole del revisionismo storico, tanto meno dimenticare le nostre origini, come credono di poter fare i fanatici del “post” (“post-moderno, post-socialismo, post-anarchismo”). Né adottare la “religione” del “nuovismo” (“neo-socialismo,neo-anarchismo”), per sua natura troppo eterogeneo, caotico e indistinto. I movimenti (e non vanno trascurate le organizzazioni sindacali di base che adottano un metodo libertario ed autogestionario), devono ricominciare dalla loro autonomia rispetto alla politica, negando proprio la cosiddetta “autonomia del politico”. Se devono ripartire dai propri ambiti specifici e dal territorio, costruendo una rete di democrazia diretta solidarista, associazionistica e comunalista in alternativa al centralismo ed allo stato, occorre soprattutto che imparino onestamente a subordinare la politica all’etica, perché il fine non giustifica i mezzi. Ma, al tempo stesso, non possono negare di assumersi le responsabilità che tutti coloro che sviluppano azione sociale hanno di fronte alla storia. Devono svincolarsi dalla paura di“compromettersi”, da ciò che Berneri indicava come “fobia della degenerazione” (e lo diceva criticando giustamente anche il diktatonnicomprensivo dell’astensionismo). Occorre evitare la confusione fra giudizi di merito e giudizi di valore, ovvero che passi tattici assurgano al ruolo di principi (e che i principi stessi vengano considerati inamovibili persino a fronte di una loro eventuale confutazione, sedimentino un’ortodossia integralista). Quanti vogliono cambiare le cose devono aborrire particolarismi e soggettivismi e dotarsi di un’organizzazione e di un programma collettivo flessibile e sempre riformabile. Occorre ritornare alle basi del socialismo umanitario e libertario,moralmente intransigente, eppur tollerante ed aperto alla sperimentazione. Chi vuole cambiare il mondo deve accettare strutturalmente la necessità del pluralismo e del confronto qualie lementi inalienabili. Sarebbe bene convincersi del fatto che, se è giusto perseguire la perfettibilità, non esiste la perfezione assoluta. L’idea stessa di una società “trasparente” è assolutamente totalitaria. L’idea di potere deve ridursi al diritto di poter fare. Va apertamente rifiutata a priori qualsiasi forma di dittatura, palese o occulta che sia. Il totalitarismo, sotto qualsiasi forma, non può certo costruire la libertà né, tantomeno, l’eguaglianza. In nessun caso, neanche di fronte al cambiamento radicale o alla rivoluzione, si è da soli, ed anche qualora si fosse maggioranza (come capitò agli anarchici spagnoli), la cosa di per sé non esime dalla politica. Occorre quindi tener sempre presente a priori che sono necessarie delle alleanze, riconoscendo l’alterità delle forze in campo e delineando un progetto gradualista che non si ponga in contraddizione con il fine ultimo. Sapendo prefigurare e concordare percorsi comuni con altre forze, senza nessun tabù sulla politica né complessi d’inferiorità o chiusure settarie. Non si tratta di accettare quel riformismo che vuole solo “aggiustare” l’esistente, ma neppure di abbandonarsi ad un massimalismo totalizzante che nega la necessità di una politica dei piccoli passi. In ultimo, proprio il “fine” va concepito come un (problematico) inizio: non esistono palingenesi sociali.
Alle origini del socialismo come essenza antistatalista
di Domenico Letizia
Il socialismo, il comunismo come la storia li ha presentati al mondo è chiaro dirlo subito: sono stati il più grande fallimento che l’uomo abbia mai conosciuto, non solo, proprio con il socialismo si è raggiunto il massimo di anti-liberalità che l’umanità abbia mai toccato. Ogni forma di socialismo pianificato, di statalismo estremo si è mostrato una aberrante dittatura politica, un regime senza tregua e a rimetterci sempre la pelle per primi sono stati proprio gli anarchici. Il socialismo non è stato solo un fallimento politico ma come riteneva Ludwig von Mises l’esperimento socialista non ha alcuna chance di funzionare, perché poggia su presupposti economici sbagliati. Ma facciamo una analisi storica. Il socialismo nasce come statalismo? Questa è anche la domanda che si è posto Lerry Gambone. In principio i socialisti previdero chi dovesse controllare l’economia? Pensarono che doveva essere lo stato? Non solo Bakunin esaltò il liberismo nord-americano, sia chiaro non era ancora nato il capitalismo coorporativista che oggi conosciamo, ritenendo la libertà dell’industria e del commercio una gran cosa, una delle basi essenziali della futura alleanza internazionale fra tutti i popoli del mondo. Ma diamo un occhiata ai principali teorici “socialisti” del 18 secolo.
San Simon parlava di un sistema di società per azioni volontarie, Owen di comunità intenzionali e cooperative, Flora Tristan di cooperative di lavoratori, Greene di un sistema tecnico bancario che permetteva ai coltivatori e lavoratori di possedere. Anzi, l’essenza antistatalista la ritroviamo proprio in Marx. Vi è tutto un insieme di “eretici” marxisti che ritengono che i primi a intorpidire le acque intorno a Marx siano stati proprio i marxisti. Wolf Bruno in un suo saggio ritiene che Marx non ha mia inventato nessun sistema socialista, e con tutta la sua arroganza intellettuale si prendeva gioco di ogni creatore di sistema. Infatti ha appoggiato i democratici liberali, i libero-scambisti e perfino i conservatori, per Marx il comunismo non era altro che: “il movimento reale che sopprime lo stato di cose esistenti” non un ideale da realizzare.
Larry Gambone si domanda dove è nata la confusione? E direi perché il socialismo è divenuto il male assoluto? Perché socialismo è statalismo? Le correnti dei lavoratori nel 19 secolo si divisero in fazioni ostili, in seguito sotto l’influenza del Fabianesimo e degli Stalinisti con l’ingannevole successo del capitalismo statale nelle nazioni belligeranti, il termine socialismo cominciò a cambiare da una matrice democratica e favorevole alla proprietà ad una controllata, pianificata, centralizzata, insomma il disastroso statalismo che tutti conosciamo. Il socialismo diventò l’opposto della democrazia economica e politica immaginata dalle primi generazioni socialiste e dai militanti del mutuo appoggio. Bisognerebbe ri-analizzare il pensiero socialista e, ne sono convinto, questa analisi cancellerebbe e trasformerebbe stesso la concezione, stesso il termine di socialismo oggi conosciuto.
Testata: Seme Anarchico “periodico di informazione anarchica”
Registrata: Iscrizione n 17/79 Tribunale Brescia
Data: Anno 31 n 20 Luglio 2010
Massoneria e Anarchismo
Un po’ di chiarezza per sgomberare il campo da due contrapposti miti, quello della filiazione del movimento anarchico dalla Massoneria (diffuso dal tradizionalismo cattolico e da Forza Nuova), e quello della assoluta incompatibilità fra movimento anarchico e libera muratoria (diffuso fra gli anarchici meno consapevoli della storia).
“L’8 gennaio 1847, venni accolto come Massone, col grado di apprendista, nella Loggia Sincerità, Perfetta Unione e Costante Amicizia, ‘Oriente di Besançon’. Come ogni neofita, prima di ricevere la Luce, dovetti rispondere a tre quesiti d’uso: Cosa deve l’uomo ai suoi simili? Cosa deve alla sua patria? Leggi tutto…
A OGNUNO LA SUA BANCA
Mentre in Europa si discuteva su come le élites potevano guidare gli oppressi alla conquista del potere, gli anarchici americani discutevano di antitrust, di voto alle donne, di diritti e poteri dei consumatori, di difesa della proprietà individuale, di copyright. L’odio per uno stato liberticida e il principio della sovranità dell’individuo non sono affatto patrimonio esclusivo del liberalismo. Intervista a Pietro Adamo.
Pietro Adamo si occupa principalmente del protestantesimo radicale e della cultura politica dell’anarchismo, sui quali ha scritto vari saggi.
Sembra che il liberalismo sia attualmente l’unica tradizione politica rimasta sulla scena. Esistono però tradizioni di pensiero che potrebbero dare spunti interessanti, e fra queste l’anarchismo autoctono americano, così poco conosciuto in Italia. Da dove deriva tale tradizione?
La tradizione dell’anarchismo autoctono americano, che copre quasi tutto l’800, è stata una corrente di pensiero originale e articolata che si è fondata principalmente sulla realtà sociale e culturale americana, con rarissimi contatti con i movimenti e i teorici che hanno costituito l’anarchismo in Europa. Degli esponenti più noti di questa tradizione -Lysander Spooner, Benjamin Tucker, Josiah Warren, Stephen Pearl Andrews-, l’unico che conosceva bene le opere di Stirner, Bakunin, Kropotkin era Benjamin Tucker, che le fece anche tradurre o le tradusse egli stesso, ma fino a lui gli anarchici americani maturarono il loro anarchismo in modo assolutamente autoctono rispetto a quella tradizione europea (che parte da William Godwin e arriva fino a Errico Malatesta, e che comprende Stirner, Bakunin, Proudhon, Kropotkin, Reclus, Faure e tanti altri) che oggi definiamo “anarchismo classico”. Questa elaborazione autonoma americana, come dicevo, durò fino a circa il 1890, quando, con l’immigrazione di italiani, tedeschi, ebrei negli Stati Uniti si ebbe l’introduzione di tematiche tipicamente europee che fecero sì che i leader del movimento anarchico americano del primo ’900 –vale a dire Emma Goldman, Alexander Berkman, Johann Most, non a caso tutti immigrati– avessero come punto di riferimento non la tradizione libertaria americana, ma quella europea, essenzialmente Kropotkin e l’anarco-comunismo.
L’atteggiamento di questi anarchici americani nei confronti della proprietà era, comunque, quello di una difesa strenua e si proponevano di liberalizzare il mercato togliendo di mezzo tutti i monopoli, le corporazioni, le gilde, i trattamenti di favore, la concessione di patenti, perché questi strumenti, a loro giudizio, opprimevano il popolo. Non a caso saranno fra i primi a parlare della necessità di lottare contro le concentrazioni industriali che finiscono per diventare monopoli, parlavano cioè di antitrust. Per loro il prezzo dei prodotti era alto perché su queste cose veniva caricato il peso dei monopolisti, di gente che non lavorava. Dal loro punto di vista l’adozione di una politica liberale era intesa a difendere la gente che lavorava: i bottegai, gli artigiani, gli operai, i lavoratori a giornata. Io penso che ci siano addirittura dei modi per leggere persino Adam Smith in questo modo, ed infatti un anarchico americano contemporaneo, Bob Black, ha scritto delle paginette divertenti su Adam Smith e sul problema del lavoro che fanno intendere come per molti l’adozione del sistema del libero mercato e del libero scambio, cioè del sistema capitalista (anche se “capitalista” è il modo in cui noi chiamiamo la degenerazione del sistema della proprietà privata), può essere vista in chiave protettiva per i ceti più poveri, piuttosto che in chiave berlusconiana…
Il gradualismo degli anarchici americani nasce dal riconoscimento che non vi è altra possibilità di rivoluzione radicale che non sia rivoluzione delle coscienze. La rivoluzione è la maturazione dell’individuo, non tanto un rivolgimento politico, il quale, quando avviene, non può essere preso in sé stesso, ma solo in relazione alla rivoluzione nelle coscienze. Quando gli anarchici americani si confrontano direttamente con i meccanismi del politico (governi, parlamenti, polizie, eccetera) finiscono quasi sempre su posizioni anarchiche classiche. Quindi i meccanismi del politico vengono visti in senso estraniante, come un processo di continua sottrazione di diritti e potenzialità al cittadino, in sostanza come uno degli elementi fondanti del sistema di dominio di una parte minoritaria della società sulla maggioranza. Questo, tuttavia, non comporta, come invece accade all’anarchismo europeo, l’apertura alla necessità di una dimensione “altra”, utopica. A questo proposito, comunque, direi che le elaborazioni sono decisamente molto sfumate, perché l’unica possibilità che a molti di loro rimane, data la loro formazione ed i presupposti che essa comporta, è ipotizzare un ritorno allo stato della perfetta naturalità, ma è una mentalità che non viene direttamente accettata perché comporterebbe il contrasto fra natura e società, che a sua volta non viene accettato. Spooner, per esempio, contrappone ad ogni istituzione del politico il richiamo ad una società naturale fondata sul libero contratto e sulla libera iniziativa, ma si guarda bene dallo spiegare in concreto come questa si dia e come possa funzionare. Non lo fece Spooner, non lo fece Andrews, non lo fece Tucker, ma lo ha fatto Robert Nozick, un filosofo contemporaneo, in Anarchia, stato, utopia e non è un caso che in nota, dica “Per il retroterra di queste riflessioni si veda Lysander Spooner e Benjamin Tucker…”. L’operazione che gli anarchici americani classici non hanno fatto, cioè come liberarsi del politico senza ricadere in una naturalità impossibile, che altro non sarebbe che forma mascherata di politico, è stata tentata da Nozick e secondo me neanche lui c’è riuscito, semplicemente perché non è possibile. Sempre a questo proposito si possono trovare degli spunti in un paragone fra Spooner e Tucker: mentre in Spooner la contrapposizione fra società “politica” e società “naturale” finisce per essere plateale, nel caso di Tucker la formulazione è molto più produttiva e interessante perché da un lato c’è lo svelamento dei meccanismi autoritari del politico, mentre dall’altro c’è la consapevolezza che è in quell’ambito che occorre andare ad operare, che è una scelta dettata dalla necessità.
L’idea liberale di mercato distorta dallo stato
L’idea liberale di mercato distorta dallo stato
Ogni volta che mi dedico al dialogo definendomi anarchico liberale quindi liberoscambista e possibilista noto sempre da parte di chi ascolta una sorta di perplessità che a volte diventa stupore. Dove sta la perplessità? In due semplici paroline: Libero Mercato.
La concezione del libero mercato e del liberoscambismo non è estranea al movimento anarchico, anzi ne è una parte fondante, certo è importante definire cosa intendiamo con libero mercato e ancora più importante è analizzare perché con l’attuale crisi tutti si prestano dai repubblicani ai democratici, dai liberali ai socialisti, dai marxisti ai non-marxisti, tutti proprio tutti, si prestano a gettare la colpa del cataclisma economico al libero mercato.
Il mercato, lo scambio è la cosa più naturale che avviene tra gli uomini, l’uomo è fatto e basa la sua esistenza sullo scambio dalle opinioni al commercio. Quello che lo stato sta cercando di abbattere è l’idea di mercato non il capitalismo perché il capitalismo come lo conosciamo è sempre esistito in quanto collaboratore dello stato e suo strumento, il vero mercato è quello non assistito, quello libero, quello decentrato, contro i cartelli e monopoli, insomma quel mercato che appartiene all’idea del liberalismo classico mai applicato dai governi. Le politiche attuali, anche quelle più liberali, sono tutte unite nel dire che il mercato è fallito e c’è bisogno di stato: ecco cosa cercano veramente i governi nella loro totalità, cercano di rafforzarsi, cercano di divenire ancora più forti, di far capire che l’istituzione e lo stato sono essenziali per la vita dei cittadini che altrimenti vivrebbero circondati dal caos.
E’ qui che noi dobbiamo fermarci e riflettere, tocca a noi anarchici e amanti della libertà riprenderci l’idea di libero mercato, ovviamente creando un nuovo mercato, creando una nuova concezione anarchica e liberale. Di passi ne vedo specialmente nella cultura libertaria americana, l’esponente del mutualismo contemporaneo Kevin Carson si definisce a favore di un “libero mercato anticapitalista”, ritenendo che il capitalismo come comunemente inteso sarebbe impossibile senza stato, pertanto il libero scambio non comporterebbe rischio di sfruttamento.
Anche la tradizione storica dell’anarchismo europeo va ricordata bene, Bakunin esalta il liberismo nordamericano (non erano ancora sorti i trust), e dice “La libertà dell’industria e del commercio è certamente una gran cosa, ed è una delle basi essenziali della futura alleanza internazionale fra tutti i popoli del mondo”. E ancora: “I paesi d’Europa ove il commercio e l’industria godono comparativamente della più grande libertà, hanno raggiunto il più alto grado di sviluppo”. L’entusiasmo per il liberismo non gli impedisce di riconoscere che fino a quando esisteranno i governi accentrati e il lavoro sarà servo del capitale “la libertà economica non sarà direttamente vantaggiosa che alla borghesia”. Ancora oltre si spinge colui che definisco il libertario dei libertari Camillo Berneri secondo cui (n.d.r.) la forma economica anarchica doveva rimanere aperta, e che si dovesse sperimentare la libera concorrenza tra lavoro e commercio individuali e lavoro e commercio collettivisti. La collettivizzazione coatta era quindi da condannare se frutto dell’imposizione e non della libera scelta: l’anarchia non doveva portare ad una società dell’armonia assoluta, ma alla società della tolleranza.
Oggi più di prima è compito degli anarchici conservare e sviluppare idee di mercato diverso e libero e non far i giochetti dei governi che tutti insieme da destra a sinistra condannano il mercato per il controllo e il rafforzamento dello stato, a dir il vero questa direzione è già intrapresa; Pietro Adamo ha ripetuto più volte la necessità di recuperare l’idea di liberalismo e quindi anche di mercato, un nuovo sguardo all’esperienza del Novecento che non si fermi agli effetti pratici recenti del neoliberismo. Una concezione di mercato libertario in cui si incrociano istanze non solo economiche, ma etiche, politiche, sociali, e cosi via. La libera sperimentazione anarchica potenzia tutte le sfere in cui l’uomo agisce, non solo quella economica: proprio dall’interazione di queste sfere dovrebbe risultare una sorta di limite all’ambito del “mercato”. Saremo identificati come nuovi liberisti? Sì, curandoci di sottolineare, ogni qualvolta ne avremo l’occasione, la differenza tra noi e loro.
Recuperare un anarchismo che sia liberale, possibilista e di mercato curandoci di differenziarci sempre dagli pseudo-liberisti, che nei fatti non lo sono, delle forze di centrodestra. Tocca a noi recuperare quello che di buono c’è nel liberalismo e farlo divenire libertario. Rudolf Rocker scriveva agli inizi degli anni Trenta: “Tante strade conducono alla dittatura dalla democrazia e nessuna di queste strade parte dal liberalismo”.
Domenico Letizia
Non concordo
Che la concezione del libero mercato e del liberoscambismo non sia estranea al movimento anarchico è vero; che ne sia una parte fondante è notoriamente falso. Il movimento anarchico, in prima approssimazione, rappresenta la tendenza libertaria del movimento socialista, per cui, sempre in prima approssimazione, è sostenitore di un’economia pianificata. Che poi una pianificazione basata sul libero accordo (e quindi non imposta dallo stato) possa contenere elementi di contrattazione tra i produttori e, quindi, di mercato, è cosa che a chiunque conosca il mondo e, soprattutto, gli uomini che lo abitano, appare ovvia. Ma da qui ad affermare che il liberoscambismo sia “una parte fondante del movimento anarchico”…
Non mi risulta, inoltre, che “con l’attuale crisi tutti si prestano, dai repubblicani ai democratici, dai liberali ai socialisti, dai marxisti ai non-marxisti, tutti proprio tutti (…) a gettare la colpa del cataclisma economico al libero mercato”. In verità, fino a pochi mesi fa tutti, proprio tutti, tranne una piccola parte dei marxisti e gli anarchici, sostenevano che il libero mercato fosse la panacea di tutti i mali; ed anche ora, di fronte a una crisi economica di proporzioni gigantesche, continuano a dire che lo stato deve intervenire per sostenere, o al più per “correggere le storture” del mercato, non certo per abolirlo.
Non conosco le opere di Kevin Carson. Concordo con l’affermazione che “il capitalismo come comunemente inteso sarebbe impossibile senza stato”, rimango invece perplesso rispetto all’affermazione che “il libero scambio non comporterebbe rischio di sfruttamento”: il libero scambio può portare all’arricchimento di alcuni a scapito di altri; e l’arricchimento di alcuni può portare alla costituzione di stati, anche molto feroci, finalizzati al mantenimento delle differenze sociali venutesi a creare e all’instaurazione di un regime basato sullo sfruttamento.
Non mi stupisce il fatto che Bakunin abbia esaltato “la libertà dell’industria e del commercio”. All’epoca lo facevano anche i marxisti, convinti che si trattasse di un passaggio necessario per il superamento del capitalismo. Quanto a Berneri che, è bene ricordarlo, fu ucciso dagli stalinisti proprio per la sua strenua difesa delle collettivizzazioni, era favorevole al lavoro e al commercio individuali soltanto a patto che non comportassero l’utilizzo di manodopera. Probabilmente tale posizione era dovuta alla (giusta) convinzione che, anche all’interno di una ipotetica “società dell’armonia”, ci sarebbe comunque chi preferisce lavorare in proprio, e che sarebbe assurdo, oltre che assai poco libertario, negargliene la possibilità.
Luciano Nicolini
Alla conquista della sinistra
Anthony Gregory, scrittore e musicista che vive a Berkeley, in California, analista di ricerca all’Independent Institute, ci spiega come e perchè i libertari possano, anzi, debbano, cercare consensi anche a sinistra. La traduzione è di Flavio Tibaldi.
I principi fondamentali
Dovrebbero i libertari rivolgersi alla sinistra? Perché potrebbe essere importante? E che approccio dovremmo usare nel farlo?
Come libertari, abbiamo l’obiettivo di un mondo più libero. Malgrado ciò che alcuni potrebbero pensare, il grado della libertà umana in una società non è solo una funzione del tipo di persone al potere o inserite nella struttura dil governo. È, alla fine, un riflesso dell’ideologia pubblica. Quello che la persona media crede ha un grande effetto su come funziona lo stato e su ciò che fa. Se la stragrande maggioranza degli americani si opponesse fondamentalmente alla proibizione delle droghe, per esempio, la guerra contro la droga non potrebbe persistere. Se la maggioranza volesse vietare l’alcool, probabilmente sarebbe vietato. La tendenza del governo è di espandersi e crescere nelle aree della vita dove incontrerà la minor resistenza, compreso la resistenza del pubblico. È per questo che i regimi autoritari dedicano considerevole attenzione alla propaganda ed alla censura.
Il motivo per cui gli Stati Uniti hanno goduto così tanto della libertà interna, rispetto almeno a molte altre nazioni, è l’eredità di quel liberalismo classico che è stato prevalente dalla loro fondazione. Se un’ampia maggioranza di nordcoreani fosse jeffersoniana, persino la loro dittatura militare, per quanto forte possa ora sembrare, si sbriciolerebbe. Il popolo, per quanto riluttante, deve tollerare lo stato, perché esso possa sopravvivere. Lo stato, alla fine, è limitato dalla pubblica opinione.
L’importanza del movimento e dell’ideologia libertaria va quindi molto al di là di quel che può essere visto nella sola politica elettorale. Anche quando nessun libertario vince le elezioni, una cultura relativamente libertaria può impedire allo stato di espandersi quanto farebbe in una cultura più statalista. La misura in cui i liberali ed i conservatori accettano determinate premesse del pensiero libertario – il concetto della proprietà privata, il rifiuto della schiavitù, l’uguaglianza dei diritti davanti alla legge – si riflette nelle politiche che i liberali ed i conservatori semplicemente non tollereranno e quindi nelle libertà che rimangono affinchè tutti noi ne possiamo godere.
Se vogliamo maggiore libertà, abbiamo bisogno di più libertari per contribuire a diffondere queste idee ed ad aiutarle a raggiungere la massa critica nel sostegno popolare. E poiché una percentuale molto importante del popolo è di sinistra, questo fatto da solo richiede di provare a promuovere i principi libertari fra i pensatori e gli attivisti di sinistra. Meno libertarie sono la sinistra o la destra, ,maggiore il pericolo per la libertà.
Molti libertari esitano di fronte all’idea di rivolgersi alla sinistra, supponendo che la sinistra si opponga chiaramente di più della destra alle idee libertarie. Ma non possiamo trascurare la necessità di rivolgerci alla sinistra. È vero che molti libertari sono arrivati da destra, come il movimento di Goldwater più di 40 anni fa, e nella misura in cui i conservatori possono essere avvicinati e convinti dei meriti del principio libertario, questa è una gran cosa e non dev’essere trascurata. Nondimeno, rivolgerci alla sinistra è per alcuni versi più facile del rivolgerci alla destra e spesso non richiede alcun compromesso con il principio per arrivare ad un punto d’incontro, come sembra talvolta che accada con la destra.
Sinistra, destra e libertà
Probabilmente la maggior parte dei libertari che deviano considerevolmente dal principio libertario su questioni importanti lo fanno verso destra. È più comune trovare un libertario che ha un punto di vista statalista sulla guerra o sull’immigrazione che sulla previdenza sociale o sul controllo delle armi. Ma l’errore del deviazionismo a destra va ancora oltre. Molti libertari, nel tentare di abbracciare il governo limitato, finiscono per difendere un governo che non è limitato affatto. Poiché la polizia e l’esercito sono le due funzioni principali che molti libertari sono felici di lasciare nelle mani del governo, a volte dimenticano che quelle agenzie costituiscono il braccio violento dello stato, incaricato di applicare con la forza le molte politiche coercitive e socialmente distruttive a cui noi tutti ci opponiamo. La brutalità della polizia, la tortura in tempo di guerra, le violazioni del processo dovuto e le uccisioni di civili – alcune delle peggiori attività di cui il governo è capace – in effetti arrivano dagli uffici “legittimi” dello stato.
Non solo i libertari che tendono a destra certe volte purtroppo tollerano le peggiori attività del governo, a volte confondono anche il sistema economico corrente di privilegio corporativo e di saccheggio come un certo tipo di approssimazione del capitalismo di mercato. Questo può condurre ad un malinteso della realtà economica, ad una simpatia eccessiva per determinate grandi aziende che in realtà fanno pressioni e traggono giovamento dal grande governo, ed un obliquo senso della priorità riguardo i programmi governativi è quanto di più distruttivo vi sia per la libertà. Un esempio classico è il rivenditore libero che vede i buoni per i generi alimentari come anatema socialista ma non è altrettanto preoccupato dal complesso militar-industriale da miliardi di dollari.
L’errore del deviazionismo a destra ha ispirato Murray N. Rothbard, il grande economista, teorico e storico libertario, a scrivere il suo classico “Left and Right: The Prospects for Liberty” nel 1965. Il saggio sfidava la fallacia che il libertarismo fosse una dottrina conservatrice e metteva in guardia contro le deviazioni a destra. Scriveva che:
I libertari di oggi usano pensare al socialismo come l’opposto polare della dottrina libertaria. Ma questo è un errore grave, responsabile di un grave disorientamento ideologico dei libertari nel mondo attuale. Come abbiamo veduto, il conservatorismo era l’opposto polare della libertà; ed il socialismo, anche se “a sinistra” del conservatorismo, era essenzialmente un movimento confuso e moderato. Era, ed ancora è, moderato perché prova a raggiungere scopi liberali mediante l’uso di mezzi conservatori.
“Mezzi conservatori” si riferisce agli strumenti ed alle istituzioni politiche del governo: tasse, polizia, prigioni e tutto il resto. Effettivamente, per la maggior parte della storia dell’umanità, il governo è stato un’istituzione conservatrice, dal lato della reazione, del privilegio economico, della teocrazia, della patriarchia e del militarismo. I mezzi e i fini assumono grande importanza considerando il rapporto fra il libertarismo e la sinistra e la destra. Come spiegava Rothbard:
Il socialismo, come il liberalismo e contro il conservatorismo, ha accettato il sistema industriale e gli obiettivi liberali della libertà, della ragione, della mobilità, del progresso, dei livelli di vita più elevati per le masse e di una fine alla teocrazia ed alla guerra; ma ha provato a raggiungere questi scopi mediante l’uso di mezzi conservatori incompatibili: statalismo, pianificazione centrale, comunitarismo, ecc. O piuttosto, per essere più precisi, c’erano inizialmente due diversi filoni all’interno del socialismo: uno era il filone di destra e autoritario, da San-Simon in giù, che glorificava lo statalismo, la gerarchia ed il collettivismo e che era così una proiezione del conservatorismo che provava ad accettare e dominare la nuova civiltà industriale. L’altro era il filone relativamente libertario e di sinistra, esemplificato nei loro modi diversi da Marx e da Bakunin, rivoluzionario e molto più interessato a realizzare gli obiettivi libertari del liberalismo e del socialismo: ma in particolare distruggere l’apparato statale per realizzare l'”appassimento dello stato” e la “fine dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo.”
Anche se i liberali di sinistra moderni favoriscono i mezzi statal-socialisti, che sono immorali e socialmente distruttivi, hanno spesso obiettivi lodevoli, soprattutto riguardo all’elevazione dell’uomo comune. Tuttavia è un errore andare troppo oltre ed assumere che i liberali di sinistra siano superiori ai conservatori in generale. Così come c’erano “due filoni differenti all’interno del socialismo,” anche l’odierno movimento liberale di sinistra ha tendenze sia autoritarie che anti-autoritarie. Una chiave per la conquista della sinistra è identificare quanto libertario e quanto statalista sia un dato sostenitore della sinistra.
Discutere con la sinistra
Alcuni esponenti della sinistra si preoccupano di più per le libertà civili che dei loro progetti di “socialismo preferito”, atri fanno l’opposto. Nel corso della storia, molti esponenti della sinistra hanno persino difeso regimi socialisti, dai bolscevichi in Russia alla Cuba di Castro, credendo che i loro orribili risultati sui diritti umani e sulla libera espressione valessero i presunti benefici dei loro programmi socialisti. Altri troveranno questo punto di vista oltraggioso. Alcuni liberali di sinistra pensano che persino i criminali corporativi dovrebbero avere un adeguato processo. Altri diranno butta via la chiave.
Facendo alcune domande, potrete spesso capire se un liberale di sinistra è più interessato alla libertà personale e quindi un potenziale convertito a libertarismo; o se è più interessato alla democrazia sociale direttiva e quindi più incrollabilmente votato allo stato. Un altro buon indizio è quanto scettico sia verso il potere del governo anche quando il “suo” partito è al governo. Con tutti i loro difetti, molti nelle ACLU erano implacabili nella condanna delle violazioni di Bill Clinton della privacy e del quarto emendamento. Tali persone hanno una comprensione limitata della libertà, ma almeno la prendono seriamente ed hanno determinati standard per quanto riguarda le libertà civili che non abbandoneranno capricciosamente per settarismo.
Un’altra considerazione è semplicemente quanto ostile qualcuno sia verso la libera impresa: pensa che la proprietà privata sia inerentemente diabolica, o che i mercati siano sostanzialmente giusti ed efficienti ma che abbiano solo bisogno di qualcuno che li ammorbidisca? Il primo è probabilmente meno probabile che adotti il libertarismo del secondo, che potrebbe avere bisogno soltanto di alcune lezioni di economia per capire che persino piccole dosi di socialismo sono inutili e distruttive.
Inoltre, un liberale di sinistra che sia radicalmente pacifista e contro lo stato di polizia sarà spesso ricettivo per le idee libertarie, poiché già diffida dell’establishment e riconosce che lo statalismo può causare danni molto reali e significativi agli esseri umani. La combinazione migliore ed in qualche modo la più rara, è un liberale molto più pacifista e contro lo stato di polizia che anti-capitalista. Questo è in qualche modo raro perché, purtroppo, molti esponenti della sinistra sono più radicalmente anti-autoritari quanto più sono anti-mercato, mentre quelli che sono più moderati nelle loro condanne della libera impresa sono spesso anche più tolleranti verso l’impero e l’establishment.
Nel comunicare con la sinistra, il migliore approccio, in ogni caso, è di rimanere aderenti al principio. Spesso gli esponenti della sinistra sono abituati a decostruire l’ipocrisia della destra, che proclama di essere per il governo minimo ma difende il Big Brother e le gigantesche burocrazie militari. Rimanendo fedeli al radicalismo ed al principio, un libertario può distanziarsi da tale ipocrisia della destra e dimostrare che le sue posizioni provengono da un pensiero rigoroso e di principio e da una genuina simpatia per le vittime dell’aggressione dello stato. A volte gli esponenti della sinistra assumono troppo facilmente che tutti siano delle vittime, ma i libertari dovrebbero comunque non sottovalutare mai il tributo enorme che il governo impone sui prigionieri, sui civili stranieri in tempo di guerra e sui poveri, sia direttamente che per mezzo del grande costo opportunità provocato dalle grandi spese pubbliche e dal risultante spostamento della creazione di ricchezza del settore privato. Dal momento che il capitalismo effettivamente serve i poveri come nessun altro sistema economico fa, in un certo senso le persone più povere sono le vittime primarie degli interventi del governo che attualmente pesano sull’economia.
Nessun compromesso sui principi
Dato il nostro accordo su molti obiettivi dei liberali di sinistra e un certo accordo sostanziale su molte questioni, è in effetti curioso che fra i liberali di sinistra ed i libertari spesso ci sia tanta animosità. Sulle libertà civili, la politica estera ed effettivamente alcune questioni economiche, c’è almeno un qualche terreno di intesa. Gran parte della diffidenza reciproca è dovuta a cattiva comunicazione e anche se gli esponenti della sinistra non sono del tutto innocenti in questo, noi libertari dobbiamo fare uno sforzo se vogliamo che le nostre idee si diffondano. Ciò significa mettere in risalto determinati punti e perfino riformulare parte della loro retorica. Possiamo mostrare come la libertà preveda una genuina giustizia sociale. Possiamo fare appello alla tendenza anti-violenta della sinistra pacifista e spiegare come le azioni dello stato sono intrinsecamente violente o come minimo affermate sulla violenza. Possiamo spiegare come il grande governo è un’istituzione per benefici e privilegi corporativi ed esporre quanto questo sia dannoso per chi sta in fondo alla scala economica.
La risposta non è, malgrado ciò che alcuni libertari dicono, compromettere i nostri veri principi o provare ad incontrare i liberali “a metà strada” sulle questioni. Non dobbiamo accettare alcuna funzione degli stati sociali né arrenderci all’idea delle burocrazie enormi per combattere il riscaldamento globale. Alcuni libertari hanno chiesto un’alleanza con la sinistra sottolineando determinate libertà personali e sottovalutando la nostra ferma opposizione alla pianificazione centrale. È ironico che alcuni libertari che sostengono un avvicinamento a sinistra siano essi stessi davvero deboli sulla nostra migliore questione per tale avvicinamento: la politica estera.
I libertari a volte appaiono insensibili e freddi, ma parlando con i liberali di sinistra, è facile rimanere fedeli ai principi mostrando quanto realmente ci preoccupiamo per le vittime dello stato, di molte delle quali la sinistra è informata, ma molte delle quali ha invece dimenticato o non sa che esistono. In questo senso quando affronta questioni che variano dal crimine alla povertà, il libertario può tenere la superiore posizione morale che i liberali di sinistra usano spesso occupare, almeno nelle loro intenzioni, quando comunicano con i conservatori.
Con appena un po’ di sforzo e comprensione, i libertari possono avvicinarsi alla sinistra ed avere enorme influenza su di loro su tutte le questioni: non solo quelle su cui concordiamo più superficialmente, quali la guerra e le libertà civili, ma in effetti anche sull’economia e sulla proprietà privata.
Le questioni
Comunicare ideali libertari a sinistra può essere una sfida, ma può anche contribuire a sostenere la nostra comprensione dei nostri stessi principi. Spesso, i libertari cercano di appellarsi alla sinistra enfatizzando le nostre aree di accordo, che sono viste convenzionalmente come soprattutto riguardanti le libertà personali e la guerra. Ma anche quando discutiamo tali questioni, è importante che mostriamo come le nostre posizioni provengono da un’ideologia coerente e spieghiamo agli esponenti della sinistra come i loro stessi istinti libertari sono in conflitto con quelli dirigisti e collettivisti.
Libertà civili
I liberali classici ed i liberali moderni condividono il rispetto per le libertà civili, ma mentre la posizione libertaria scorre dal principio di auto-proprietà, dai diritti di proprietà e dalla libertà di associazione, la posizione convenzionale della sinistra è spesso contraddittoria con altre posizioni ed a volte anche intrinsecamente.
Effettivamente, il concetto stesso delle libertà civili è incoerente senza una certa concezione dei diritti di proprietà. La libertà di parola non comprende il diritto di gridare oscenità a qualcuno nella sua camera da letto mentre sta cercando di dormire. Nessuno ha il diritto di entrare nella proprietà di qualcun altro per pregare senza il consenso del proprietario. No, la nostra libertà di parlare, religiosa e di fare con i nostri corpi quello che vogliamo è in qualche modo condizionata: è limitata dai diritti della proprietà privata. Ecco perché le questioni riguardanti le perquisizioni e la preghiera nella “scuola pubblica” sono così difficili: non riguardano liberi proprietari, ma il confuso territorio della proprietà pubblica. Questa è un’importante lezione da comunicare alla sinistra.
Nel frattempo, dovremmo mostrare quanto seri siamo sul nostro terreno di intesa. I libertari hanno fatto piuttosto bene nei riguardi della guerra della droga, conducendo il movimento di riforma ed articolando l’idea dell’auto-proprietà sulla questione dell’uso di droga. Alcuni libertari hanno protestato che enfatizziamo troppo tale questione, ma questo non è assolutamente vero. Quando centinaia di migliaia di persone sono state incarcerate e la Dichiarazione dei Diritti devastata, è difficile da esagerarne l’importanza. È inoltre un buon modo per introdurre un liberale di sinistra alla reale depravazione di cui lo stato è capace. Dopo tutto, uno stato che metterà mezzo milione di persone pacifiche in gabbie in cui sopruso e violenza sono endemici forse non è la migliore organizzazione per promuovere un mondo umano e premuroso. Inoltre, un punto può essere fatto circa il paternalismo: un governo abbastanza grande da fornire una sanità ed altre necessità certamente avrà un interesse invasivo nel nostro stile di vita.
Le libertà civili e la giustizia penale, inoltre, sono questioni opportune per la spiegazione dell’essenza della violenza dello stato. Tutto il potere politico nasce dal caricatore di una pistola e quella pistola tende ad essere nelle mani di un poliziotto. I liberali di sinistra spesso diffideranno della polizia e metteranno in discussione la giustizia del sistema carcerario. Lungi dal prendere la posizione conservatrice di difesa di queste istituzioni, dovremmo sfruttare tale scetticismo della sinistra come occasione per spiegare come tutti i programmi governativi sono infine fatti rispettare dalla polizia e dalle prigioni che la sinistra mette in discussione. Se gli esponenti della sinistra sono solidali con gli accusati in cause penali, dovrebbero anche essere meno rapidi a pensare il peggio di chi sia accusato di infrazioni amministrative. Se capiscono le implicazioni delle libertà civili e la futilità pratica del vietare le droghe, dovrebbero vedere i problemi del vietare le armi da fuoco. Se pensano che il sistema è ingiusto per chi è privato dei diritti, dovrebbero essere riluttanti ad applaudire quando gli evasori fiscali vengono imprigionati.
Questa è una grande occasione per provocare una dissonanza cognitiva nell’arredamento mentale della sinistra, che è importante nel tentativo di avvicinare o convertire. Dimostrate come gli stessi valori della sinistra sono in conflitto con alcune delle posizioni che tengono. Chiedete loro come possono davvero sostenere il corrotto dipartimento della giustizia di John Ashcroft quando ha perseguito Martha Stewart, o il Procuratore Distrettuale Rudy Giuliani quando ha perseguito l’investitore di junk-bond Michael Milken. Potreste essere sorpresi di quanti liberali di sinistra ammetteranno di non conoscere in realtà granché sulla questione se precisate gentilmente che alcuni dei loro pregiudizi di sinistra sembrano essere in conflitto con i loro proclamati valori centrali di imparzialità, di adeguato processo e dei diritti civili.
Politica estera
In particolar modo per quanto riguarda le guerre nazionaliste come quelle di Bush, la sinistra tende ad essere migliore della destra sulla politica estera. Questa è un’altra occasione per ulteriore educazione. Perché mai un esponente della sinistra che vede come il suo governo democratico pratica l’assassinio e la tortura all’estero dovrebbe confidare che lo stato sia invece gentile e premuroso nel paese? E, per quei liberali che sono stati morbidi sulle guerre di Clinton, perché possono fidarsi di alcuni politici per bombardare i civili, ma non di altri?
La guerra è davvero l’esempio classico della pianificazione centrale di governo, ed i fallimenti dei tentativi degli Stati Uniti di costruire nazioni all’estero non sono così qualitativamente differenti, o più sorprendenti, dell’incapacità dei programmi interni socialisti di produrre e distribuire le merci ragionevolmente ed efficientemente. Ancora, i politici mentono e distorcono la realtà per promuovere le loro guerre e per esagerare le gravi minacce alla sicurezza pubblica. Se gli esponenti della sinistra possono capire che i politici sono di frequente disonesti ed incompetenti quando si tratta della loro funzione più accettata – proteggere i propri cittadini dall’aggressione straniera – allora forse dovrebbero essere in grado di capire che quei difetti dell’essere umano e quei problemi organizzativi si applicano anche alla politica interna.
Effettivamente, i liberali di sinistra insistono che non è necessario sostenere dittatori stranieri come Saddam Hussein per opporsi all’intervento contro di essi del governo degli Stati Uniti. E riconoscono tipicamente quanto possano essere mostruosi tali dittatori stranieri. I libertari possono far notare che abbiamo la stessa logica per quanto riguarda altri mali domestici, quale l’ingordigia corporativa. Certamente, se la violenza e l’intervento di governo non fossero autorizzati contro un vero dittatore come Saddam Hussein, ci potrebbe essere qualche problema con l’amministrazione della coercizione di governo contro caratteri molto più benigni, come Bill Gates, anche se non ci piace tutto quel che fanno.
Dove la politica estera e l’economia si intersecano, la sinistra è a volte migliore della destra. Molti a sinistra sono stati particolarmente critici degli interventi economici contro Cuba, l’Iraq ed altre nazioni sotto forma di sanzioni commerciali. Questa è una visione libertaria, indipendentemente dal fatto che la riconoscono. Vedono la crudeltà del tagliare qualcuno fuori dallo scambio volontario e commerciale. È un aspetto di vita o di morte per milioni di persone. Questo è un grande punto di partenza per discutere dell’importanza del commercio nel mantenimento della civiltà e della pace. Perché i libertari portano soltanto la loro opposizione alle limitazioni commerciali draconiane al suo estremo logico, avversando tutte le violazioni della libertà di contratto e di scambio volontario, sia internamente che internazionalmente.
Economia
Per qualcuno potrebbe essere una sorpresa, ma i libertari possono realizzare molti progressi comunicando con la sinistra sull’economia. Purtroppo, tale dialogo è spesso controproduttivo. Parte della colpa ricade su quei libertari più attenti ad attaccare la sinistra che a cercare di persauderli.
In primo luogo, è importante non usare gli insulti. Non chiamate sprezzantemente il liberale di sinistra un “commie” – a meno che, naturalmente, vogliate che tutti gli esponenti della sinistra continuino a credere in quel socialismo così distruttivo per la nostra economia. Se mai, incoraggiate una certa dissonanza cognitiva chiedendo perché il vostro amico liberale è così conservatore, difendendo il grande governo, che è una delle idee politiche più vecchie e reazionarie.
Senza impero, stato di polizia e benessere corporativo – tutte cose di cui i liberal sono perlomeno scettici – il governo sarebbero molto, molto più piccolo e le tasse considerevolmente più basse. Durante le grandi guerre, in particolar modo, i conservatori non sono particolarmente migliori dei liberal sull’economia, considerando quanto vogliono tassare (o inflazionare) e spendere all’estero.
Ma il nostro terreno di intesa economico con la sinistra può davvero andare più oltre. Una cosa che la sinistra dovrebbe capire, ma che noi ugualmente abbiamo bisogno di capire se vogliamo spiegarla, è il modo profondo con cui il grande governo in realtà promuove le grandi imprese e calpesta i piccoli imprenditori, i lavoratori a reddito fisso ed i lavoratori poveri. Un libro importante dello storico di sinistra Gabriel Kolko, The Triumph of Conservatism: A Reinterpretation of American History (1963), spiega come i capi corporativi dell’industria spinsero per nuove agenzie regolarici in modo da contribuire a trincerarsi in un mercato regolato ed a distruggere la concorrenza. Questo era inoltre vero durante il New Deal (il direttore della General Electric era strumentale nel disegno dell’infame National Recovery Administration di Roosevelt, per esempio), durante la Great Society ed anche oggi. Spesso, sono gli stessi interessi che sono regolati che beneficiano di più dalla regolazione.
Uno dei più grandi strumenti corporativisti del grande-governo è la banca centrale. Gonfiando la massa monetaria e consegnando i dollari di recente stampa ai propri amici nelle grandi banche, nella grande impresa e nel complesso militar-industriale, il governo ridistribuisce efficacemente i soldi dalle classi povere e media a determinati segmenti di quella ricca, che ottengono i soldi per primi, prima che i prezzi possano adeguarsi. Quando infine arrivano alla gente più in basso sulla scala economica, i prezzi sono saliti. L’inflazione è quindi una tassa indiretta e regressiva .
Ci sono altri plateali modi in cui la grande impresa beneficia del grande governo. L’eminent domain è stato sempre più usato per sequestrare proprietà private e attività commerciali e per darne la proprietà ai grandi magazzini come Costco. Gli enti locali ottengono più reddito di imposta e le aziende più profitti – di nuovo illustrando il collegamento fra potere di governo e privilegio corporativo. Le leggi del salario minimo ed altre regolazioni tendono ad avvantaggiare le imprese più grandi, ed è per questo che tali giganti corporativi come il CEO di Wal-Mart spesso li favoriscono. Il programma di Bush della prescrizione medica, la più grande espansione nelle prestazioni sociali dalla Great Society, si è rivelato un’esplosione di welfare corporativo per l’industria farmaceutica.
Ambiente ed educazione
Per quanto riguarda l’ambiente, i diritti di proprietà e la common law erano più rigorosi contro l’inquinamento dei nuovi enti competenti favoriti dalla grande impresa, fin dalla Rivoluzione Industriale, come sistema per socializzare i costi dell’inquinamento, tutto in nome del “bene comune.” Inoltre, molte imprese sono saltate sul carro del riscaldamento globale, riconoscendo che la regolazione delle emissioni di carbonio può essere enormemente vantaggiosa per le grandi imprese sotto forma di sovvenzioni e di contratti di licenza di brevetti.
Anche la pubblica istruzione è potenzialmente un terreno di conquista con la sinistra, una volta che esponete la storia delle “scuole pubbliche” come strumenti della propaganda e del lavaggio del cervello nazionalista e delle fabbriche per la produzione di operai, cittadini, soldati e contribuenti leali. Questa è un’altra area dove il libertarismo moderato è spesso disorientato. Idee riformiste quali i buoni scuola – che potrebbero offrire efficacemente maggiore scelta ad alcuni genitori non facendo però niente per tagliare il governo ed effettivamente aumentando l’intervento del governo nel settore della scuola privata – sono spesso più offensive per la sinistra dell’idea radicale di separare la scuola interamente dallo stato, come facciamo con la religione e per molti degli stessi motivi.
Privatizzazione e mercati liberi
Una trappola simile si trova nel sostegno della privatizzazione di istituzioni quali la previdenza sociale, le prigioni e la guerra.
La previdenza sociale è un programma socialista di ridistribuzione che conta inevitabilmente sulla coercizione; quindi non c’è niente da privatizzare. La miglior cosa sarebbe di ridurre in fretta la spesa, fino a che non rimanesse alcun programma, anche per liberare gli odierni contribuenti dal peso delle tasse il più rapidamente possibile. Poiché la previdenza sociale è una tassa regressiva, i liberali di sinistra sono a volte più aperti ad una posizione di principio che agli schemi per “privatizzare” il programma promulgando programmi obbligatori di risparmio, stabilendo sovvenzioni de facto per Wall Street, il tutto socializzando parte del mercato azionario.
L’ironia è che tali riforme apparentemente a metà strada non solo spesso non riescono ad avvicinarci alla libertà; incontrano anche una particolare resistenza a sinistra, che è particolarmente scettica di qualsiasi programma per passare la democrazia sociale agli interessi corporativi.
Per quanto riguarda cose come le prigioni e la guerra, neanche qui dovremmo spingere per privatizzarle. Un’associazione fra l’impresa ed il governo non è libertaria – effettivamente, è per definizione un attributo del fascismo – e il fatto che potrebbe svolgere il suo lavoro più efficientemente non significa che dovremmo favorirla. Alcuni programmi governativi sono immorali e quindi non vogliamo vederli eseguiti più efficientemente.
Il vero libero mercato offre la reale liberazione per tutto. La decentralizzazione radicale del potere che accompagna i robusti diritti di proprietà significa più uguaglianza e libertà per gli operai e meno privilegi e protezione per l’elite corporativa. Significa una possibilità di lotta per i deboli. Non dovremmo mai mancare di sottolinearlo.
Spesso, è l’incoerenza o la mancanza di chiarezza che rende spaventoso per la sinistra il pensiero libertario. Dovremmo in particolar modo stare attenti a non essere ipocriti. Sì, dovremmo elogiare le glorie dei padri fondatori – ma non fingere che la sinistra non abbia qualche ragione sulle origini del governo americano come stato espansionista e aggressivamente schiavista. Sì, dovremmo sostenere i mercati liberi – ma non dare un passaggio a politici come Ronald Reagan, la cui retorica era sovente buona ma le cui politiche erano spesso orribili per la libertà.
Dappertutto, una chiave mostra all’esponente della sinistra i suoi errori evidenti. Confrontate l’attivista non violento con la violenza inerente al controllo delle armi. Confrontate coloro che sostengono di parlare per i poveri con la natura regressiva della previdenza sociale e del grande governo.
Anche se siete in disaccordo con me su quanto ricettiva la sinistra possa essere al libertarismo, non abbiamo altra scelta che impegnarli su queste questioni. Se vogliamo promuovere la causa della libertà, dobbiamo convincere sempre più gente delle sue virtù. Molte persone stanno nella sinistra politica, e tali persone tendono ad interessarsi all’attivismo ed alle idee ed è particolarmente importante per la causa della libertà quando infine si avvicinano ed abbracciano il coerente programma dei libertari. Ignorarli non è un’opzione e sminuirli è un lusso che non possiamo permetterci. Noi dobbiamo invece avvicinarli, mostrando a quelli più ricettivi alle nostre idee che la libertà porta giustizia sociale, la proprietà privata porta la liberazione e la libera impresa è il sistema economico più compatibile con un mondo pacifico.
Articolo da: http://www.movimentolibertario.it/home.php?fn_mode=fullnews&fn_id=93&fn_cid=4